DISTINTI SALUTI

Anno:
1974
Durata: 23 min
Copyright: Alberto Cima

Regia: Alberto Cima
Aiuto regia: Paola Ratti
Con la collaborazione di Vincenzo Maniscalco
Soggetto, fotografia, montaggio: Alberto Cima
Suono: Presa diretta
Musiche di Arnold Schonberg scelte da Camillo Togni

Interpreti:
Franco Bonfiglio, Aldo Engheben, Ermes Scaramelli, Edy Gambara, Paola Mazza, Mariuccia Pola, Eros Venturini, Fabio Beccalossi, Renata Bugatti, Claudio Sampaoli, Mario Soloni, Angelo Zampedri, Serenella Bazzoni, Franco Botticini, Rosanna Cima, Roberto Colombo, Tatiana colombo, Luciano Mereghetti, Francesco Mirigliani, Andreina Morandi, Ernesto Pernigo, Gabriella Poli.

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Trama:

Girato in 16 mm. a Brescia nelle aziende Franchi, Sant'Eustacchio, Om. Un giovane impiegato in una grande industria. La sua identità si frange contro le durezze di un sistema determinato dal potere e dall'ipocrisia. Si dibatte nelle sabbie mobili della quotidiana banalità, e anche la sua vita privata si sbriciola sotto il rullo compressore delle regole inesorabili.

Critica:

Alberto Pesce
Un piccolo impiegato in una grande azienda
Richiestissimo, in Italia e all'estero, finalmente anche a Brescia si è visto l'ultimo film di Alberto Cima. Bianco e nero, 16 mm, Distinti saluti è un film-metafora, di evidente suggestione autobiografica, ma di incisiva lezione sociomorale. Da una parte, un protagonista, anonimo, un giovane qualsiasi, forzatamente dentro un congegno produttivo, in una fabbrica, a livello impiegatizio, dapprima curiosamente sospeso, oscillante tra dentro e fuori, tra una realtà d'ufficio che lo stupisce, lo attanaglia, gradualmente lo morde con impietosa quotidianità, e un sogno evasivo, brume lontane impastate di nebbia e di sole, tremolare d'acque sotto la luce, tenerezze d'amore concupite e frustrate, e poi, isolato, emarginato, suo malgrado, frusciante di tangente accanto a una galleria di impiegati-manichini, che fanno corpo unico con i propri strumenti di lavoro, intorpiditi, stupiti e monchi nei loro discorsi, eppure soddisfatti e gonfi in una lentezza da pupazzi regolata altrove, da altri fili , sotto la regia di un capo pupazzaro che ha nome capoufficio. Dall'altra, tema antagonistico e complementare in Distinti saluti , ecco appunto questo mondo di impiegati piccolo borghesi, arrivati a una sedia e un tavolo, ma senza libertà, rinserrati tra schienale e scrivania, in una pedestrità che deforma l'uomo, lo riduce a un teatrino di marionette, dove ogni individuo è solo un supporto di una ideologia di consumo, casa caccia forma, erotismo, ordine e buon senso da maggioranza silenziosa, e un momento anonimo di una stereotipia sociale incapace di un discorso compiuto, a misura d'uomo.

Distinti saluti è un film amaro, quasi disperato, senza alternative. Per accumulo, in un crescendo tra il grottesco e il drammatico, Cima ci descrive il mondo impiegatizio come opaco e torpido nella sua ovattata impotenza, e vi rovescia una sua polemica opposizione ideologica. Graffia con un realismo che tende sempre alla metafora con una ricchezza di linguaggio figurato , che non è solo istintiva facilità nella scelta delle metafore, ma è anche uso accorto del refrain ripetitivo di uno stato d'animo, o della metonimia, della abilità cioè di tradurre un concetto con un'immagine incisiva e ficcante, e soprattutto sapiente costruzione di montaggio, con una ricerca di ritmo che elimina il superfluo ma di ogni inquadratura ha un immediato senso del tempo magari qualche secondo in più perché al di là della figurazione che descrive e narra, l'immagine suggerisce altro, e lo insinua scheggiante nell'animo dello spettatore.


Regista indiscutibilmente sensibile e padrone di un linguaggio scabro ma sicuro, Alberto Cima ha girato Distinti saluti attingendo soggetto e sceneggiatura dalla propria esperienza passata. Il film è stato alla rassegna di Montecatini selezionato tra i 25 migliori. E' la parabola di un impiegato assunto in una grande industria, che vede la propria umanità sbriciolarsi in un ingranaggio che rende la sua condizione alienante. Un tran tran che lascia il tempo solo per le esigenze fisiologiche e qualche ingolosito, vorace e rubato momento di sesso. La frustrazione straripa al di fuori del lavoro, squallida arrampicata verso un vertice di benessere, ma non di realizzazione. Così è per il giovane impiegato (interpretato da un Franco Bonfiglio convincente), non per i colleghi che da tempo hanno accettato le regole del gioco e hanno chiuso la bocca ai grilli parlanti della coscienza per vivere tra parole colme di banalità e aspirazioni consumistiche. La reazione di Franco è la fuga nella fantasia, il furto dolente di immagini di vita diversa (operai della fabbrica, vecchio pescatore che mangia sul lago, vela incendiata dal sole). Ma il problema di come fuggire la morsa del sistema non è siglato ma lasciato volutamente aperto.
(c.c.)